grazie Silvia! :)
Una Luce diversa
Abito a Lucca da ormai 20 anni.Non dentro le Mura, sempre fuori, per godermi ogni volta che arrivo in città l'emozione di varcare uno degli austeri ingressi e, chissà, per sentirmi ancora visitatrice, ospite, turista ammaliata dalla luce che invade le strade, che attraversa i campanili, che cambia i colori delle facciate dei palazzi...
Non cittadina di questa città, non ancora.
Quando racconto Lucca ai turisti, srotolando il filo della storia, mi sento a tutti gli effetti cittadina, fortunata a poter respirare la bellezza di una città così bella a mia disposizione, sempre.
Abito a Lucca da 20 anni, ormai. Ma vengo dal Sud. Dalla Puglia. Da Bari.
E talvolta salgo sulle Mura e mi affaccio con la sciocca speranza di veder trasformate le verdi ondulazioni dei prati che le circondano e le chiome degli alberi in lontananza nell'infinito azzurro del mare.
Perchè mi manca visceralmente quella distesa mai uguale che mi è sembrata così scontata, banale, dovuta, per tutti i 25 anni in cui mi bastava aprire la finestra della mia camera per vederla: il mare.
Il mare cristallino delle vacanze con la famiglia nel Salento, il mare emozionante di Polignano nelle fughe da scuola col motorino, il mare sempre inquieto alle 6 del mattino di Capodanno quando si tornava a casa dopo colazione, il mare di Pane e Pomodoro a portata di mano nella pausa pranzo, il mare dai colori inaspettati del Gargano.. azzurro, verde, piombo..
E la luce abbagliante sul mare alle ore impossibili ancora riverbera tra le pieghe dei miei ricordi, così forte da far male, così intensa da dover chiudere gli occhi, così calda da ardere il cielo e da far bruciare l'anima ancora oggi. Dio che luce! Ogni pietra partecipava a quei riflessi e trovava riscontro nell'acqua e tutto si infiammava ed era la cosa più normale del mondo.
Il Mare. La Luce. La Terra. La mia Terra.
Terra da pipe, la chiamava mio padre, salentino nonostante il cognome lucchese, che buffa coincidenza. Rossa come l'argilla usata per far pipe e pignate, rossa come le facce dei lavoratori nei campi o come i pomodori appesi e conservati. Terra striata di nero dopo la bruciatura delle stoppie a conclusione della racconta del grano e percorsa dai grigi muri costruiti a secco con le pietre strappate dai campi per poterli coltivare. Amara, terra amara, amata e dolorosa.
E tra il biancore delle pietre, il fumo delle stoppie e la sanguigna terra, serpeggia la luce.
Rimbalza dal mare alle foglie argentate degli olivi contorti che fanno il verso alle schiene curve della gente al lavoro nei campi, spettina i capelli delle donne vestite di nero, si infila sfrangiandosi nella spuma delle onde che battono il lungomare reclamandolo, esplode caldissima nelle chiese attraversando le strette finestre aperte su massicci muri bianchi, bianchissimi come le pareti incalcinate delle case che si specchiano lungo vicoli strettissimi, muri che rubano la scena al gelido blu del mare che, umilmente, li esalta.
Quella luce si frammenta sulla superficie del mare moltiplicandone i riflessi ed enfatizzandone l'immensità, donandosi alla mia memoria:
"Sempre il mare, uomo libero, amerai!
perché il mare è il tuo specchio; tu contempli
nell'infinito svolgersi dell'onda
l'anima tua, e un abisso è il tuo spirito
non meno amaro. Godi nel tuffarti
in seno alla tua immagine; l'abbracci
con gli occhi e con le braccia, e a volte il cuore
si distrae dal suo suono al suon di questoselvaggio ed indomabile lamento.
Discreti e tenebrosi ambedue siete:
uomo, nessuno ha mai sondato il fondo
dei tuoi abissi; nessuno ha conosciuto,
mare, le tue più intime ricchezze,
tanto gelosi siete d'ogni vostro
segreto. Ma da secoli infiniti
senza rimorso né pietà lottate
fra voi, talmente grande è il vostro amore
per la strage e la morte, o lottatori
eterni, o implacabili fratelli!"
Charles Baudelaire (I fiori del male, 1857)
http://trippando.wordpress.com/
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nella foto: la Cattedrale romanica di Trani (BA) si specchia nel mare.
Antonella Marcucci
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